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I piani di riequilibrio degli enti locali nella giurisprudenza costituzionale: la sentenza n. 115 del 2020

  • Martedì 28 Luglio 2020
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  • Scritto da: Mira Redazione

Introduzione

La Corte costituzionale, con la sent. n. 115 del 2020 (redattore Aldo Carosi), è chiamata a vagliare la costituzionalità di alcune disposizioni contenute all'articolo 38 del decreto-legge n. 34 del 2019, convertito, con modificazioni, nella legge n. 58/2019 (d'ora innanzi DL) che hanno consentito agli enti in predissesto di riproporre, a determinate condizioni, il piano finanziario di riequilibrio pluriennale. In sintesi, la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale del comma 2-ter del citato articolo ai sensi del quale la riproposizione del piano di riequilibrio da parte degli enti locali (effettuato per adeguarlo alla disciplina legislativa vigente alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019) "deve contenere il ricalcolo complessivo del disavanzo già oggetto del piano modificato", "ferma restando la disciplina prevista per gli altri disavanzi". Nel respingere le censure di costituzionalità rivolte ad altre disposizioni del richiamato articolo (fra cui la disposizione che estende la durata del piano da dieci a venti anni), il Giudice delle leggi aggiunge un importante tassello alla propria giurisprudenza relativa agli effettivi spazi di manovra riservati al legislatore statale che intende intervenire in materia di piani di riequilibrio degli enti territoriali, in deroga alle regole sull'equilibrio di bilancio.

I precedenti giurisprudenziali

La sentenza si pone, per molti aspetti, in continuità con altre recenti decisioni della Corte in materia di piani di riequilibrio finanziario pluriennale.

In particolare, occorre preliminarmente richiamare la sentenza n. 18 del 2019 sia per quanto in essa statuito, sia perché è proprio a seguito di detta pronuncia che il legislatore ha introdotto una delle disposizioni vagliate nella sentenza n. 115 in commento (v. infra).

In tale occasione, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015, che consentiva agli enti locali in predissesto di riformulare o rimodulare i piani di riequilibrio finanziario pluriennale, con restituzione delle anticipazioni di liquidità su un arco temporale di trent’anni.

Ai sensi dell'art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015, come sostituito dall’art. 1, comma 434, della legge n. 232 del 2016, «gli enti locali che hanno presentato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale o ne hanno conseguito l’approvazione ai sensi dell’articolo 243-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, prima dell’approvazione del rendiconto per l’esercizio 2014, se alla data della presentazione o dell’approvazione del medesimo piano di riequilibrio finanziario pluriennale non avevano ancora provveduto ad effettuare il riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi di cui all’articolo 3, comma 7, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, possono rimodulare o riformulare il predetto piano, entro il 31 maggio 2017, scorporando la quota di disavanzo risultante dalla revisione straordinaria dei residui di cui all’articolo 243-bis, comma 8, lettera e), limitatamente ai residui antecedenti al 1º gennaio 2015, e ripianando tale quota secondo le modalità previste dal decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 2 aprile 2015 [..]».

La Corte censura la norma «sia sotto il profilo della lesione dell’equilibrio e della sana gestione finanziaria del bilancio, sia per contrasto con gli interdipendenti principi di copertura pluriennale della spesa e di responsabilità nell’esercizio del mandato elettivo» (Considerando in diritto n. 5, primo capoverso).

Nel giudizio si afferma che il principio di equilibrio di bilancio, lungi dal corrispondere ad un formale pareggio contabile, si collega alla continua ricerca di una stabilità economica di media e lunga durata. A presidio dell'equilibrio, l'ordinamento contabile richiede la copertura di eventuali deficit entro l'anno successivo alla loro formazione e, se ciò non è possibile, entro il triennio successivo all'esercizio in cui si determina uno squilibrio, e comune in un arco temporale anteriore alla scadenza del mandato degli amministratori in carica (Considerando in diritto n. 5, nono capoverso(1). Le deroghe a tale impostazione, che consentono che il rientro dal debito avvenga nell'arco di un decennio, si fondano sulle novità contabili, ed in particolare sull'obbligo per gli enti locali di procedere al riaccertamento straordinario dei residui, calcolato con criteri rigorosi al fine di porre fine alla prassi di sovrastima dei crediti di bilancio e sottovalutazione dei debiti.

La norma censurata secondo il Giudice delle leggi non si pone in armonia con tale impianto complessivo e piuttosto «traccia uno scenario incognito e imprevedibile che [..] consente di perpetuare proprio quella situazione di disavanzo che l’ordinamento nazionale e quello europeo percepiscono come intollerabile» (Considerando in diritto n. 5.2, quarto capoverso)(2. Come monito la Corte sottolinea che «[l]a tendenza a perpetuare il deficit strutturale nel tempo, attraverso uno stillicidio normativo di rinvii, finisce per paralizzare qualsiasi ragionevole progetto di risanamento, in tal modo entrando in collisione sia con il principio di equità intragenerazionale che intergenerazionale».

Di particolare rilievo è altresì la più recente sent. n. 4 del 2020(3, con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale di disposizioni statali che hanno consentito agli enti destinatari delle anticipazioni di liquidità, finalizzate ai pagamenti dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni, di utilizzare la relativa quota accantonata nel risultato di amministrazione. In quell'occasione la Corte afferma che solo in presenza di «insufficienza strutturale del gettito fiscale ad assicurare i servizi essenziali» imputabile «alle caratteristiche socio-economiche della collettività e del territorio», si impone il dovere dello Stato di attuare gli strumenti a tal fine previsti dall'articolo 119, terzo, quarto e quinto comma. Dovere che non può invece estendersi ai casi in cui i deficit degli enti territoriali derivino da inefficienze amministrative, quali in particolare l'incapacità di riscuotere i tributi. In tal caso, sono piuttosto da evitare interventi estemporanei che hanno l'effetto di determinare un incremento della capacità di spesa dell'ente, senza che sia al contempo individuabile un'effettiva copertura giuridica. Occorre evitare l'adozione di ogni misura (nel caso di specie si tratta della contabilizzazione tra le parti attive del rendiconto delle anticipazioni di liquidità, già facenti parte del fondo di cassa di fine esercizio) che «migliora in modo solo apparente il risultato di amministrazione, così esonerando l’ente locale dalle necessarie operazioni di rientro dal deficit, che non saranno parametrate sul disavanzo effettivo [..] Ciò pregiudica ulteriormente, in violazione degli artt. 81 e 97, primo comma, primo periodo, Cost., l’equilibrio strutturale dell’ente locale in questione, in quanto alla situazione deficitaria precedente si aggiunge quella derivante dall’impiego indebito dell’anticipazione».

La Corte, nella sent. 184 del 2016 - in cui si delineano gli ambiti di competenza regionale in materia di bilanci alla luce del processo di armonizzazione contabile - afferma, per quanto interessa in questa sede, che il bilancio è un “bene pubblico”. Al riguardo, argomenta che esso «è funzionale a sintetizzare e rendere certe le scelte dell’ente territoriale, sia in ordine all’acquisizione delle entrate, sia alla individuazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche, onere inderogabile per chi è chiamato ad amministrare una determinata collettività ed a sottoporsi al giudizio finale afferente al confronto tra il programmato ed il realizzato [..] Il carattere funzionale del bilancio [..] presuppone quali caratteri inscindibili la chiarezza, la significatività, la specificazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche» (Considerando in diritto n. 3, capoversi quinto e sesto).

Nella sent. n. 107 del 2016 la Corte costituzionale è chiamata a vagliare disposizioni legislative della regione Molise, introdotte in sede di assestamento del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2014, che hanno disposto in ordine al rientro pluriennale dal disavanzo finanziario riferito al 2013. Nel giudicare infondata la censura di costituzionalità della norma regionale ritenuta in linea con la già richiamata normativa statale sui piani di rientro, il Giudice delle leggi coglie l'occasione per ammonire circa la pericolosità di disposizioni che tendono a perpetuare nel tempo il deficit strutturale attraverso plurimi rinvii, sì da impedire un effettivo risanamento dell'ente(4.

Sempre sul tema, la sent. n. 181 del 2015 censura due leggi della regione Piemonte(5rilevando un uso distorto delle anticipazioni di liquidità previste dal decreto-legge n. 35 del 2013 per i pagamenti dei debiti scaduti. Con le variazioni di bilancio approvate dalle citate leggi regionali si è infatti determinata un'alterazione del risultato di amministrazione riferito all'esercizio 2013, con contestuale ampliamento della spesa di competenza in violazione delle norme costituzionali a presidio dell’equilibrio di bilancio (artt. 81 e 119).

Pur riconoscendo «profili di ambiguità» della legge statale, la Corte afferma già allora che una «interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata delle norme statali porta [..] a concludere che le anticipazioni di liquidità altro non costituiscono che anticipazioni di cassa di più lunga durata temporale rispetto a quelle ordinarie. La loro ratio, quale si ricava dalla genesi del decreto-legge e dai suoi lavori preparatori, è quella di riallineare nel tempo la cassa degli enti strutturalmente deficitari con la competenza» (Considerando 4.3.2, sesto capoverso).

Le anticipazioni di liquidità non si pongono in contrasto con la regola aurea dell’art. 119, sesto comma, Cost., secondo cui i mutui possono essere contratti solo per spese di investimento, nella misura in cui si tratti di «operazioni che non comportano risorse aggiuntive, ma consentono di superare, entro il limite massimo stabilito dalla normativa statale vigente, una momentanea carenza di liquidità e di effettuare spese per le quali è già prevista idonea copertura di bilancio» (Considerando in diritto n. 6.2, secondo capoverso), ciò che implica che dette anticipazioni non possano superare l’entità dei debiti inevasi e pertanto quella del disavanzo accertato al momento della richiesta di anticipazione.

Le disposizioni censurate

La Corte, nel giudizio in esame, è chiamata a vagliare la fondatezza dei rilievi di costituzionalità delle seguenti disposizioni recate all'art. 38 del citato DL.

1) Comma 1-terdecies.

La norna sostituisce la tabella di cui al comma 5-bis dell’art. 243-bis del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, d'ora innanzi TUEL), relativa alla durata massima del piano di riequilibrio finanziario pluriennale attivabile da parte dei comuni e delle province che presentino squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario. Il piano ha una durata, comunque compresa tra i 4 e i 20 anni, che è determinata sulla base della gravità dello squilibrio, dato dal rapporto fra passività da ripianare e impegni di cui al titolo I della spesa del rendiconto dell'anno precedente. La tabella individua, per determinati valori di detto rapporto, la durata massima del piano.

2) Comma 2-bis.

La disposizione consente agli enti locali che hanno proposto la rimodulazione/riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi del già citato comma 714 dell'art. 1 della legge n. 208/2015 (v. supra in relazione al commento alla sent. della Corte cost. n. 18 del 2019) di riproporre il piano, al fine di adeguarlo alla normativa vigente. Tale facoltà è consentita agli enti che hanno proceduto in tal senso entro il 14 febbraio 2019, che corrisponde alla data di deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2019, anche nel caso in cui il piano non fosse stato ancora approvato dalla competente sezione regionale della Corte dei conti ovvero fosse inciso da provvedimenti conformativi alla predetta sentenza della sezione regionale competente.

3) Comma 2-ter.

La norma dispone che la richiamata riproposizione del piano di riequilibrio deve contenere il ricalcolo complessivo del disavanzo già oggetto del piano modificato, nel rispetto della disciplina vigente, ferma restando la disciplina prevista per gli altri disavanzi.

I motivi del ricorso

La Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Calabria, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale riferite alle richiamate disposizioni, nell'ambito dell'attività di controllo sulla rimodulazione del piano di riequilibrio che il comune di Reggio Calabria ha adottato sulla base della facoltà contenuta al citato art. 38, comma 2-bis.

In estrema sintesi, il Comune, nel 2013, aveva inizialmente fatto ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale prevista per gli enti in predissesto (ai sensi dell'art. 243-bis del TUEL) approvando un piano che contemplava il ripiano decennale del disavanzo derivante dalla revisione estraordinaria dei residui. Sulla base del citato art. 1, comma 714, della legge n. 208 del 2015, il Comune aveva rimodulato detto piano, prevedendo un ammortamento trentennale. A seguito della citata sent. n. 18 del 2019 e dell'art. 38, comma 2-bis, del DL, l'Ente locale (con deliberazione n. 37 del 2019) ha proposto un'ulteriore riformulazione del piano (la cui durata è divenuta ventennale), sottoposto al vaglio della sezione regionale di controllo della Corte dei conti, che ha sollevato l'incidente di costituzionalità risolto con la sentenza in commento.

Ad avviso del giudice rimettente, il combinato disposto dei commi 1-terdecies, 2-bis, e 2-ter, dell'art. 38 del DL, nel consentire di riproporre il piano già approvato estendendolo a un orizzonte ultradecennale, sarebbe in contrasto con il principio dell’equilibrio di bilancio, inteso come equilibrio dinamico e intergenerazionale, di cui agli artt. 81, 97, primo comma, 117, primo comma, e 119, sesto comma, della Costituzione, anche in combinato disposto con gli artt. 1, 2 e 3 della Costituzione.

Si evidenzia, in particolare, che la pianificazione di risanamento del piano continua ad essere incentrata su proiezioni di entrata e di spesa di durata decennale (nonostante il piano preveda un ammortamento ventennale). Così disponendo, «prevedendo la variazione non dell’intero percorso di risanamento ma della sola “spalmatura” nel tempo del disavanzo originario» le norme dedotte rendono «praticamente impossibile alla sezione di controllo la verifica della congruità della pianificazione nonché del futuro rispetto degli “obiettivi intermedi” e di quelli “finali” di cui all’art. 243-quater, comma 6, T.U.E.L.».

A giudizio della sezione regionale si determina altresì una deresponsabilizzazione dei rappresentanti eletti della comunità locale, con una traslazione degli oneri finanziari alle generazioni future.

Fra le altre doglianze, il rimettente paventa la violazione dell'art.77 della Costituzione, poiché le disposizioni dedotte, che sono state introdotte in sede di conversione, risulterebbero non omogenee rispetto al contenuto del DL.

La decisione della Corte

i) Fondatezza del ricorso riguardo alle censure rivolte all'art. 38, comma 2-ter, del DL n. 34 del 2019

La Corte costituzionale reputa fondati i motivi del ricorso (solo) con riguardo al citato comma 2-ter e dichiara pertanto l'illegittimità costituzionale di tale disposizione, in riferimento agli articoli 81, 97, primo comma, e 119, sesto comma, della Costituzione.

Il comma è illegittimo in quanto nel prevedere che la riproposizione del piano di riequilibrio deve contenere il ricalcolo complessivo del disavanzo (oggetto del piano modificato) "ferma restando la disciplina prevista per gli altri disavanzi" introduce un «meccanismo di manipolazione del deficit che consente [..] di sottostimare, attraverso la strumentale tenuta di più disavanzi, l'accantonamento annuale finalizzato al risanamento e, conseguentemente, di peggiorare, anziché migliorare, nel tempo del preteso riequilibrio, il risultato di amministrazione» (Considerando in diritto n. 7, sesto capoverso).

Nello specifico, «gli artt. 81 e 97primo comma, Cost. risultano [..] violati perché il censurato art. 38, comma 2-ter, del d.l. n. 34 del 2019, come convertito, esonera l’ente locale in situazione di predissesto da una serie di operazioni indefettibili per ripristinare l’equilibrio e, in particolare, dall’aggiornamento delle proiezioni di entrata e di spesa, dalla ricognizione delle situazioni creditorie e debitorie, dalla previa definizione degli accordi con i nuovi creditori e con quelli vecchi eventualmente non soddisfatti, nonché dalla ricognizione e dimostrazione della corretta utilizzazione dei prestiti stipulati per adempiere alle pregresse obbligazioni passive(6.

I predetti principi risultano violati insieme all’art. 119, sesto comma, Cost. sotto il profilo dell’equità intergenerazionale, in quanto il comma 2-ter del citato art. 38 consente di utilizzare risorse vincolate al pagamento di debiti pregressi per la spesa corrente, in tal modo allargando la forbice del disavanzo» (Considerando in diritto n. 7, capoversi nono e decimo).

La Corte rileva altresì una violazione anche con riferimento alla responsabilità di mandato del rappresentante politico, in quanto l'ente locale in dissesto «è esonerato dal fornire contezza dei risultati amministrativi succedutisi nel tempo intercorso fra l'approvazione del piano originario e quello rideterminato» (Considerando in diritto n.7, undicesimo capoverso).

ii) Infondatezza delle rimanenti censure

La Corte giudica invece infondate le altre censure prospettate dal giudice a quo, facendo ricorso ad argomentazioni che, nel complesso, contribuiscono a definire con particolare chiarezza il perimetro entro cui il legislatore può muoversi in materia di piani di riequilibrio.

Invero, in via preliminare la Corte respinge la doglianza circa la lesione delle disposizioni dedotte in giudizio dell'art. 77 della Costituzione. Il giudice rimettente aveva, nello specifico, sostenuto che tali disposizioni, introdotte dalle Camere in sede di conversione del decreto-legge, avrebbero evidenziato un carattere disomogeneo rispetto al contenuto del decreto-legge. In proposito, la Corte - richiamando l'attività istruttoria svolta alla Camera (ed in particolare il parere del comitato per la legislazione e il criterio adottato per la valutazione delle proposte di ammissibilità in sede referente) - sostiene che «le norme non "risult[i]no intruse" rispetto alle finalità del decreto-legge in cui sono state inserite» (Considerando in diritto n. 8, capoversi settimo e ottavo).

Quanto poi, nello specifico, alle disposizioni diverse da quella censurata, il Giudice delle leggi afferma che è possibile ricavare una «interpretazione costituzionalmente orientata di queste ultime, una volta effettuata la declaratoria di incostituzionalità del comma 2-ter, che contiene un «meccanismo di calcolo avulso dalla reale situazione amministrativo-contabile» (Considerando in diritto n. 8, capoversi settimo e ottavo).

Viene così fatto salvo (anche) il comma 2-bis, che ha consentito agli enti locali che avevano già proposto la rimodulazione o la riformulazione del piano di riequilibrio ai sensi dell'ar.1, comma 714, della legge n. 208 del 2015 (entro la data di deposito della sentenza della Corte costituzionale n. 18/2019) di riproporre il piano per adeguarlo a quanto previso all'articolo 1, commi 888 e 889, della legge n. 205 del 2017, inclusa la possibilità (sancita al citato comma 888) di estendere la durata massima del piano sino a 20 anni(7.

Nel dettare la procedura per la riproposizione del piano, il comma non autorizza una ridefinizione unilaterale dello stesso da parte dell'ente locale, tenuto conto che esso potrà essere esecutivo solo dopo il vaglio della Corte dei conti. Un vaglio in cui si verificheranno molteplici aspetti (ai sensi dell'art. 243 del TUEL) inclusa la verifica che le anticipazioni di liquidità ottenute per il pagamento dei debiti scaduti dell'amministrazione siano effettivamente destinate a tale fine e «non siano surrettiziamente computate tra le fonti di copertura della spesa corrente e che sia assicurata l’iscrizione – analiticamente specificata – del rimborso dei prestiti nella parte passiva del bilancio» (Considerando in diritto n. 8, diciassettesimo capoverso).

Con specifico riferimento all'allungamento della durata del piano, la Corte sottolinea che non ritiene censurabili, di per sé, piani ultradecennali e respinge così l'interpretazione del giudice a quo «secondo cui il termine decennale sarebbe indefettibile per effetto della sentenza [..] n. 18 del 2019(8» (Considerando in diritto n. 8, settimo capoverso, primo periodo).

La Corte giudica infondata la censura rivolta anche all’art. 38, comma 1-terdecies,(9poichè «non crea un automatismo applicativo, e neppure determina la denunciata arbitrarietà dei poteri conferiti all’ente locale dalla disposizione contenuta nel comma 2-ter, dal momento che il nuovo piano dovrà superare lo scrutinio di sostenibilità della Corte dei conti».

iii) Effetti della sentenza ed impatto sugli enti locali interessati

La declaratoria di illegittimità del comma 2-ter non impone un necessario intervento del Parlamento ad avviso della Corte, secondo la quale la «normativa di risulta [..] è immediatamente applicabile anche in assenza di ulteriori interventi legislativi» (Considerando in diritto n. 9, primo capoverso).

Con riguardo alla situazione determinatasi nell'arco temporale compreso tra il momento dell'approvazione del piano decennale e la presente declaratoria di incostituzionalità, in cui si sono svolte gestioni di bilancio fondate sulla norma vigente, ancorché illegittima, ciascun ente locale dovrà procedere al necessario risanamento, sulla base della normativa di risulta(10.

La Corte richiama in proposito quanto affermato nella citata sentenza n. 4 del 2020 (v. supra), in cui, preso atto che le amministrazioni territoriali avevano comunque operato in modo conforme alle disposizioni statali allora vigenti e che gli impegni e i pagamenti effettuati sulla base di bilanci adottati ai sensi di quelle disposizioni avevano determinato un legittimo affidamento dei soggetti venuti in contatto con le stesse amministrazioni, aveva chiarito che «non è affatto necessario che l’amministrazione comunale riapprovi – risalendo all’indietro – tutti i bilanci antecedenti alla presente pronuncia» (Considerando in diritto n. 5, quarto capoverso). Al riguardo, aveva affermato l'esigenza di «assicurare la bilanciata congiunzione tra il principio di legalità costituzionale dei conti e l’esigenza di un graduale risanamento del deficit, coerente con l’esigenza di mantenere il livello essenziale delle prestazioni sociali durante l’intero periodo di risanamento» (Considerando in diritto n. 5, settimo capoverso, primo periodo) (11.

iv) Monito al legislatore

La Corte costituzionale, che come detto afferma di non ritenere di per sé censurabile la durata ultradecennale del piano, coglie tuttavia l'occasione per rivolgere al legislatore statale un monito in ordine alle potenziali conseguenze negative di norme che consentono di derogare al principio di equilibrio di bilancio e di non tener conto dell'esigenza che eventuali squilibri, di regola, andrebbero assorbiti nel corso del medesimo mandato amministrativo in cui si è generato il disavanzo. La Corte richiama in proposito pregressa giurisprudenza in cui ha già:

- ribadito che, «[f]erma restando la discrezionalità del legislatore nello scegliere i criteri e le modalità per porre riparo a situazioni di emergenza finanziaria come quelle afferenti ai disavanzi sommersi, non può non essere sottolineata la problematicità di soluzioni normative, mutevoli e variegate [..], le quali prescrivono il riassorbimento dei disavanzi in archi temporali lunghi e differenziati, ben oltre il ciclo di bilancio ordinario, con possibili ricadute negative anche in termini di equità intergenerazionale» (sent. n. 6 del 2017; al riguardo si veda anche la sent. n. 107 del 2016, v. supra);

- ammonito, richiamando quanto già affermato nella richiamata sent. n.18 del 2019 (v. supra) circa l’intrinseca pericolosità di «soluzioni che trasformino il rientro dal deficit e dal debito in una deroga permanente e progressiva al principio dell’equilibrio del bilancio» rilevando che «[l]a tendenza a perpetuare il deficit strutturale nel tempo, attraverso uno stillicidio normativo di rinvii, finisce per paralizzare qualsiasi ragionevole progetto di risanamento» e che «[d]i fronte all’impossibilità di risanare strutturalmente l’ente in disavanzo, la procedura del predissesto non può essere procrastinata in modo irragionevole, dovendosi necessariamente porre una cesura con il passato così da consentire ai nuovi amministratori di svolgere il loro mandato senza gravose “eredità”. Diverse soluzioni possono essere adottate per assicurare tale discontinuità, e siffatte scelte spettano, ovviamente, al legislatore» (sentenza n. 18 del 2019, Considerando in diritto n. 10).

Al fine di assicurare l'equilibrio di bilancio dei singoli enti risulta per la Corte opportuno affidarsi al quadro costituzionale e normativo vigente (che include il decreto-legge n. 174 del 2012 che ha, fra l'altro, rafforzato i poteri della Corte dei conti sul controllo della gestione finanziaria degli enti territoriali), «che avrebbe consentito - e consente - di affrontare le situazioni patologiche in modo più appropriato di quel che è avvenuto negli esercizi più recenti» (Considerando in diritto n. 10, secondo capoverso). Nel richiamare la sent. n. 4 del 2020, sottolinea come l'intervento statale dovrebbe essere diretto a compensare gli squilibri strutturali imputabili alle caratteristiche socio-economiche del territorio e non ad introdurre misure che, attenuando il controllo sull'equilibrio finanziario, finiscono per favorire l'espansione del deficit.

a cura di Luigi Fucito

Capo dell’Ufficio ricerche sulle questioni regionali e delle autonomie locali


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