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Next Generation EU: le linee programmatiche, i punti cruciali illustrati dal Ministro dell’Economia.

  • Domenica 14 Marzo 2021
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  • Scritto da: Mira Redazione

Il progetto Next Generation EU (NGEU), disegnato dalla Commissione Europea per dare una risposta comune ai danni economici e sociali causati dalla pandemia da Covid-19, è un passaggio storico nel processo di integrazione europea. 

Circa il 90 per cento dei 750 miliardi del Next Generation Eu saranno distribuiti attraverso il “Dispositivo europeo per la ripresa e la resilienza” (Recovery and Resilience Facility, RRF).

Le linee guida della Commissione prevedono che, per accedere alle risorse, ciascun paese predisponga un Piano (il PNRR), che descriva i programmi nazionali di investimento e di riforma che intende attuare. I piani devono definire un pacchetto coerente di progetti, riforme e investimenti in sei settori d'intervento: 

1. transizione verde (destinataria del 37 per cento del piano);

2. trasformazione digitale (20 per cento del piano);

3. occupazione e crescita intelligente, sostenibile e inclusiva; 

4. coesione sociale e territoriale; 

5. salute e resilienza; 

6. politiche per la prossima generazione, comprese istruzione e competenze. 

Ciascun paese dovrà presentare il proprio Piano nazionale entro il 30 aprile 2021. La Commissione valuterà poi i piani di ciascun paese e avrà a disposizione 8 settimane.

Acquisita l’approvazione della Commissione, il Consiglio europeo avrà 4 settimane per fornire la sua decisione finale. Questo implica che le risorse europee saranno disponibili alla fine dell’estate. I Paesi potranno ottenere prefinanziamenti per un importo pari a circa il 13 per cento del valore complessivo del Piano.

Per il nostro Paese il Piano Next Generation EU è una occasione molto importante. Rende possibile affrontare in modo coordinato e con rilevanti mezzi alcuni problemi strutturali che affliggono la nostra economia da tempo. Le tre disparità sono ritardo del sud, disoccupazione dei giovani e di genere. Il Piano ci offre l’opportunità di avviare una risposta concreta a questi problemi.


L’articolazione del Piano

Secondo quanto indicato nella bozza del Piano italiano trasmessa al Parlamento, il Dispositivo prevede fondi a disposizione del nostro Paese, per gli anni 2021-2026, per circa 196 miliardi a prezzi correnti, 69 dei quali sotto forma di trasferimenti, 127 sotto forma di prestiti. Nella finalizzazione del Piano occorrerà tener conto dei dati finanziari più aggiornati che tengono conto del fatto che il regolamento europeo emanato a febbraio prende a riferimento, per la determinazione della parte riguardante i prestiti, il reddito nazionale lordo del 2019. Questo porterà a una stima dell’entità delle risorse dell’ordine di 191,5 miliardi, quindi leggermente inferiore a quella indicata nel Piano a gennaio. Occorre inoltre precisare che queste cifre sono oggetto di un ulteriore margine di variabilità. Solo il 70 per cento dei trasferimenti è allocato tra paesi sulla base di dati già noti, la distribuzione del restante 30 per cento sarà definita nel giugno 2022, sulla base dell’andamento del PIL dei paesi dell’Unione nel biennio 2020-21.

L’orientamento del Governo è di confermare le sei missioni del programma enunciate nella bozza: innovazione, digitalizzazione, competitività e cultura; transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute.

È tuttavia necessario rafforzare alcune parti del Piano esistente. Va predisposto un capitolo che contenga una puntuale descrizione della governance del Programma. 

Il Piano contiene già importanti progetti introdotti nella legislazione vigente. Ne cito alcuni: la misura “transizione 4.0”, le connessioni veloci, gli investimenti nel trasporto pubblico locale, il programma di risanamento degli edifici scolastici, gli interventi di efficientamento energetico e di messa in sicurezza degli edifici, gli interventi contrasto al dissesto idrogeologico e di gestione delle risorse idriche, l’alta velocità, il Piano asili nido, le scuole 4.0, i programmi per la ricerca e le relative infrastrutture, la rigenerazione urbana e l’housing sociale, gli ospedali e l’ammodernamento del parco tecnologico e digitale ospedaliero. Queste iniziative costituiscono una solida base di partenza. La fase attuativa di questi progetti andrà comunque rendicontata secondo i canoni del PNRR.

Complessivamente, nella bozza del Piano, i progetti in essere ammontano a circa 65 miliardi di euro. Nel corso dei lavori, nelle prossime settimane, dovremmo riflettere sul rapporto tra progetti a legislazione vigente e nuovi progetti e vedere se la distribuzione tra i due canali di intervento debba restare quella già indicata, o possa essere soggetta a cambiamenti.

All’interno delle risorse del Piano che finanziano spese già previste nel tendenziale è stata inserita anche una quota relativa a risorse del Fondo sviluppo e coesione (FSC), per circa 20 miliardi, per progetti non ancora definiti; a questa si aggiunge un miliardo riferito a disponibilità Finanziarie del Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie di cui alla legge n. 183/1987.

Le risorse FSC sono quindi da considerare risorse di tendenziale, in quanto già disponibili a legislazione vigente; sono dedicate però a progetti nuovi, addizionali e complementari. 

Il Governo si sta impegnando nel rafforzamento del Piano per quanto riguarda gli obiettivi strategici e le riforme che li accompagnano. Come indicato dal Presidente Draghi, gli elementi strategici su cui puntare saranno la produzione di energia da fonti rinnovabili, l’abbattimento dell’inquinamento dell’aria e delle acque, la rete ferroviaria veloce, le reti di distribuzione dell’energia per i veicoli a propulsione elettrica, la produzione e distribuzione di idrogeno, la digitalizzazione, la banda larga e le reti di comunicazione. In questi interventi si seguiranno i tre assi strategici condivisi a livello europeo: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale. Non si tratta di indicazioni astratte, ma di vincoli concreti che si tradurranno nell’individuazione di precisi criteri di ammissibilità dei progetti di investimento e di riforma.

La digitalizzazione e l’innovazione di processi, prodotti e servizi rappresentano un fattore determinante della trasformazione del Paese e devono caratterizzare ogni politica di riforma del Piano, dalla giustizia alla pubblica amministrazione, al sistema sanitario. 

La transizione ecologica, come indicato dall’Agenda 2030 dell’ONU e dai nuovi obiettivi europei per il 2030, che sono molto ambiziosi, si prevede un abbattimento delle emissioni di gas serra per il 2030, di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990, avrà enormi implicazioni per il nostro sistema produttivo. Dobbiamo far sì che sia una opportunità per il rafforzamento del nostro sistema produttivo.

Il terzo asse strategico è l’inclusione sociale. Perseguire l’inclusione sociale significa colmare i divari, di natura sociale ed economica, fra le aree geografiche e fra le persone: si tratta di disuguaglianze di genere, generazionali e territoriali. La loro riduzione risponde al perseguimento di obiettivi di equità e coesione territoriale, ma è fondamentale anche per consentire alla nostra economia di tornare a crescere.



Le attività in corso

Dal punto di vista organizzativo, per garantire il consolidamento e la finalizzazione del lavoro entro il 30 aprile, il Governo ha incardinato la governance del PNRR presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze, che si coordina con le Amministrazioni di settore cui competono le scelte sui singoli progetti e il compito di indirizzo sulle proposte di riforme. È altresì prevista un’interlocuzione stretta con ulteriori attori, in particolare con le autonomie territoriali.

La responsabilità primaria sui progetti (investimenti e riforme) rimane dei singoli Ministeri, che devono lavorare congiuntamente laddove la trasversalità degli obiettivi e degli interventi previsti lo richieda.

Il Mef svolgerà un ruolo di coordinamento e darà pieno supporto a tutti i Ministeri nella stesura dei progetti, per assicurare che la definizione delle misure del Piano avvenga nel rispetto dei requisiti e delle linee guida europee e per assicurare che ci sia una effettiva realizzabilità dei progetti entro la scadenza tassativa del 2026.

Insieme al Mef sono coinvolti, secondo una logica di competenza orizzontale, altri tre Ministeri.

Si tratta del Ministero per l'innovazione tecnologica e la transizione digitale per i progetti che riguardano la digitalizzazione; del Ministero della transizione ecologica per quelli relativi alla politica energetica e – più in generale – per quelli con un impatto sull’ambiente e il clima; infine del Ministero per il Sud e la coesione territoriale, per assicurare la coerenza complessiva del Piano con l’obiettivo di riduzione dei divari territoriali.

A Solo con il coinvolgimento dei territori è possibile selezionare progetti in grado di soddisfare i bisogni di cittadini e imprese. Ciò è particolarmente vero per i progetti nel campo dell’istruzione, della sanità, del ciclo dei rifiuti.


Abbiamo come paese difficoltà nell’effettuare in modo sistematico valutazioni ex ante dei progetti e valutazioni ex post dei loro risultati.

Questa sfida deve essere affrontata rafforzando le strutture tecniche preposte alla predisposizione e attuazione dei piani, nei Ministeri e negli altri Enti. Tali figure professionali potranno rivelarsi utili anche in futuro, dopo l’attuazione del Piano.

I progetti devono infine essere contraddistinti da tre caratteristiche: realizzabilità, accountability e monitorabilità.

Il criterio della realizzabilità comporta che nella loro selezione va prestata grande attenzione alla loro fattibilità nell’arco dei sei anni del programma. Inoltre, per ogni intervento, il Piano deve indicare la struttura di governo responsabile, individuare gli organi responsabili della loro realizzazione e le modalità di coordinamento delle diverse autorità coinvolte.

I tempi come sapete sono stretti. I paesi dovranno impegnare i fondi ricevuti attraverso il Dispositivo entro il 2023; il 70 per cento delle risorse va impegnato già entro il 2022. Gli interventi dovranno essere conclusi entro il 2026. L’effettiva erogazione delle risorse sarà subordinata al conseguimento di obiettivi intermedi e finali; questi devono essere fin da subito definiti in modo chiaro, realistico e verificabile.

Occorre pertanto una governance robusta e articolata nelle fasi di gestione e attuazione degli interventi.

Il modello organizzativo che stiamo definendo individua compiti e responsabilità basati su due livelli di governance strettamente interconnessi. Da un lato, stiamo considerando la costituzione di una struttura centrale di monitoraggio del PNRR, presso il Mef, a presidio e supervisione dell’efficace attuazione del Piano. Tale struttura si occuperà del supporto alla gestione e monitoraggio degli interventi, della gestione dei flussi finanziari con l’Unione Europea, della rendicontazione degli avanzamenti del PNRR alla Commissione europea, del controllo della regolarità della spesa, della valutazione di risultati e impatti. Questo organismo centrale sarà affiancato da un’unità di audit, indipendente, responsabile delle verifiche sistemiche, a tutela degli interessi finanziari dell’UE e della sana gestione del progetto.

Dall’altro lato, a livello di ciascuna Amministrazione di settore (essenzialmente i Ministeri) si considera la creazione di presidi di monitoraggio e controllo sull’attuazione delle misure di rispettiva competenza. Tali strutture avranno il compito di interagire con i soggetti attuatori pubblici o privati.

Queste strutture ministeriali si interfacceranno con la struttura centrale del Mef che avrà il compito di aggregare i dati e le informazioni sullo stato di avanzamento dei lavori e delle riforme, ai fini della rendicontazione all’Unione europea e al Governo, anche per le eventuali azioni correttive da assumere nel caso si verificassero ostacoli o difficoltà attuative che rischino di compromettere il raggiungimento degli obiettivi del Piano.

È infine prevista la possibilità di assicurare un supporto tecnico specialistico alle Amministrazioni che dovranno realizzare gli interventi, anche a livello locale.

Complessivamente, la sfida è ambiziosa: dobbiamo garantire un progetto metodologicamente unitario e coerente con i diversi vincoli e obiettivi e farlo nei tempi stretti dettati dalle scadenze europee. 


Partendo dalla bozza di Piano disponibile, insieme alle diverse Amministrazioni responsabili degli interventi settoriali, l’attività che ci impegna è continuare l’analisi dei contenuti, verificando strategie, linee di intervento, specifici progetti, oltre che l’opportuno disegno delle riforme più urgenti segnalate dall’Unione europea, nelle sue raccomandazioni specifiche.


Una considerazione. Oggi stiamo discutendo di PNRR, ma occorre rammentare che questo non è l’unico strumento di politica economica.

Il PNRR si affianca alla normale programmazione comunitaria. Accanto al Next Generation EU che rende disponibili per gli Stati membri risorse pari a 750 miliardi di euro, si aggiungono i 1.074 miliardi di euro stanziati dal Bilancio UE con il Quadro finanziario pluriennale europeo (QFP) 2021-27.

Inoltre, la Legge di Bilancio per il 2021 assegna al Fondo Sviluppo e Coesione (FSC) per il periodo 2021-2027 una dotazione finanziaria di 

50  miliardi, cui si aggiungeranno 23 miliardi con la Legge di bilancio per il 2022, come previsto nella Nadef.

Infine, rilevanti interventi infrastrutturali possono essere realizzati avvalendosi dei fondi di durata quindicennale introdotti per la prima volta con la Legge di Bilancio per il 2017. La Legge di Bilancio per il 2021 prevede, da ultimo, stanziamenti per investimenti destinati alle amministrazioni centrali e a quelle locali per 50 miliardi per il periodo 2021- 2036. Nei cinque anni in cui questi fondi sono stati inclusi nelle leggi di Bilancio sono stati complessivamente stanziati quasi 200 miliardi. Questo per dire che dobbiamo cercare di avere una visione unitaria e scegliere gli strumenti finanziari più adatti a conseguire i vari obiettivi.


Le riforme

Un ultimo punto, fortemente sottolineato dalla Commissione Europea è quello delle riforme.

Due riforme sono particolarmente importanti: da un lato quella della Pubblica Amministrazione; il Ministero dell’Economia sta lavorando con il Ministro Brunetta,; vi è poi la riforma della Giustizia, della quale vi dirà la Ministra Cartabia. Una terza area molto importante di riforma riguarda gli interventi di semplificazione normativa trasversale.

Qui non vorrei entrare nel merito di queste riforme, ma soltanto ricordare che nel delineare i diversi progetti di riforma occorre tenere a mente la tensione tra l’obiettivo di ridisegnare in modo organico la cornice regolamentare delle aree di intervento e i tempi assai serrati richiesti dalle scadenze del PNRR. Bisogna essere molto pragmatici.


Considerazioni conclusive

In conclusione, il PNRR costituisce un esercizio di apprendimento senza precedenti per le istituzioni italiane. Richiede un rafforzamento delle strutture tecniche delle Amministrazioni. Auspicabilmente ci consegnerà un paese più prospero, più giusto e più sostenibile, con una Pubblica Amministrazione più efficiente e con un contesto regolamentare più favorevole alla crescita economica.

Se il progetto avrà successo, segnerà una tappa importante per il processo di integrazione europea e contribuirà a rafforzarlo.




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